Il cloud ibrido si conferma anche nel 2022 come il segmento tecnologico di maggior crescita. I dati dell’Osservatorio Cloud Transformation del 2021 parlano chiaro: “il Public & Hybrid Cloud, ovvero l’insieme dei servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra Cloud pubblici e privati, si conferma la componente principale con una spesa di 2,39 miliardi (+19% sul 2020), su un valore totale di circa 4 miliardi di euro”.
Il rapporto sostiene anche che “le strategie Hybrid e Multi Cloud oggi fanno riferimento mediamente a 5 Cloud provider per l'erogazione dei propri servizi (in crescita rispetto ai 4 del 2020). Ma si tratta di ambienti integrati ma non ancora pronti ad un’orchestrazione dinamica delle risorse”.
Dunque, la migrazione al cloud è una realtà, come è più chiara la scelta della tipologia di ambiente preferita dalle aziende. Ma, la preferenza verso ambienti misti porta in dote anche alcune criticità. Vediamo, in particolare, di cosa si tratta e a cosa deve fare attenzione un’azienda che sceglie la via del cloud ibrido.
Cosa è un cloud ibrido
Ricordiamo la definizione di cloud ibrido. Un ambiente cloud ibrido è semplicemente l’unione di un cloud privato con un cloud pubblico in cui – al contrario del multicloud – è prevista un’integrazione. Il cloud ibrido combina il meglio di entrambi i mondi: l'integrazione e l'ottimizzazione sia dei cloud privati on-premise che dei cloud pubblici di terze parti per gestire i carichi di lavoro e i processi per i quali ciascuno è più adatto. È sempre più evidente che ci muoveremo sempre di più in un mondo ibrido.
Tipicamente, un progetto di migrazione al cloud ibrido prevede la trasformazione di un ambiente on premise a cloud privato e la scelta di un cloud pubblico, spesso di un hyperscaler (AWS, Azure, Google Cloud), distribuendo su entrambi i carichi di lavoro.
Il progetto, in particolare, richiede il porting dell’infrastruttura It che si appoggia all’ambiente on premise e la “conversione” del comparto applicativo a una struttura a microservizi cloud native. A monte di tutto ciò c’è da fare una scelta su cosa migrare su cloud privato e su cloud pubblico. Anche nel caso del cloud pubblico, avverrà la conversione del comparto applicativo, subito dopo aver definito gli ambienti (virtuali) di elaborazione e di storage.
Come si gestisce un cloud ibrido
Un ambiente ibrido, come detto, è una struttura complessa che comporta delle criticità. In particolare, non è pensabile evitare l’utilizzo di una piattaforma unificata, la cosiddetta Cloud Management Platform.
In caso contrario, il responsabile interno dei sistemi informativi dovrebbe gestire personalmente ciascuno servizio cloud utilizzando i diversi strumenti di ciascun fornitore di cloud pubblico. Quindi, avrai bisogno di una piattaforma di gestione del cloud (CMP).
Ma, soprattutto, avrai bisogno di un partner It qualificato, un Cloud Service Provider che sappia proporre e gestire ambienti misti. Allo stesso tempo, non tutte le piattaforme di gestione del cloud sono uguali. Per questo, è importante avere chiari i criteri di scelta di un partner It e della CMP.
Come scegliere il cloud service provider
La scelta del cloud service provider giusto che accompagni l’azienda in un progetto di cloud ibrido, non può prescindere dalla sua struttura, dal personale a disposizione del cliente, dalle referenze, dall’offerta e dal ventaglio di costi disponibili e dalle opzioni disponibili a contratto.
Un’azienda ha il diritto di chiedere un team dedicato, non solo durante lo sviluppo del progetto ma lungo tutto il ciclo di vita dell’architettura. Un team particolarmente abile nello sviluppo applicativo e nella gestione delle piattaforme, che sia disponibile ogni volta che sorga un problema.
Le referenze e l’ampiezza dell’offerta devono rassicurare il cliente. Il partner It può consigliare ma non imporre le proprie scelte: se un’azienda ha già un’esperienza positiva con un certo hyperscaler, potrebbe insistere nel continuare a usarlo, e il partner deve accontentarlo.
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L’importanza della Cloud Management Platform
Per la gestione dei cloud ibridi, ogni partner It lavora su diverse Cloud Management Platform ed è importante che condivida il proprio know how con il cliente. La CMP migliore deve avere alcune caratteristiche imprescindibili:
- La piattaforma di gestione del cloud deve consentire agli utenti di ottenere velocemente ciò di cui hanno bisogno. E ciò assolutamente attraverso un'unica interfaccia self-service. E, inoltre, deve fornire report puntuali e con diversi punti di vista di lettura, da rendere disponibili anche all’azienda.
- La giusta CMP non deve richiedere di saper usare interfacce utente specifiche del fornitore. L’interfaccia unica deve saper comunicare facilmente con tutte le tecnologie di back-end e permettere di passare dinamicamente dall’una all’altra.
- In situazioni di cloud ibrido, poi, la CMP deve essere anche in grado di gestire allo stesso modo anche l’ambiente on premise trasformato in cloud privato.
- Scalare le risorse e progettare nuovi servizi in maniera veloce deve essere garantito sempre e comunque dalla piattaforma CMP. Importante, anche, configurare e sfruttare appieno tutte le funzionalità di automazione possibili fornite dai servizi cloud utilizzati.
- La gestione sofisticata dei ruoli di chi accede all’infrastruttura è un altro requisito fondamentale. È importante stabilire fin da subito chi può agire e come perché è risaputo che la maggioranza dei cyberattacchi alle infrastrutture sfrutta la leggerezza nella gestione degli accessi.
- La trasparenza sui costi è una pretesa per un cliente. Il partner It, attraverso la CMP, deve essere in grado di avere una visione molto precisa di quanto sta spendendo il cliente e come. E questi dati devono essere oggetto di un continuo confronto con il cliente stesso.